IL BOSCO DEL CONTE

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Sciabole di
consapevolezza si squarciano
sull'agonizzante Terra.
Piangono sull'asfalto
melmoso di luci senza pienezza dal
loro spazio
infinito di cose finite. Piangono i santi
di ogni epoca in questa città di
scheletri e
vermi viscidi.

Scrivo cose non sense per difendermi
dall'orrore.
Sono protetta da mille luci sonore. E
la libertà cresce.
La vita va sulla tua testa.

Gli angeli rigettati nel fiume della
perdizione
degli allori rinascono con forbici
alate e pregano amore e amore
rinasce … silenzi distorti e visioni
plenilunari. … cuori strappati senza
anestesia … nei soli gelidi tra le furie
attese.
Soltanto per stasera
voglio stare in piedi. Baluastri d'insulti
che le mani
generano sui tasti esplodono ad ogni
colpo.


Narciso è dietro la crisalide
psicoattiva. Pericolose
convergenze nel nevischio della
rabbia. Il gioco della
penitenza. Il gioco dell'incoscienza.
Niente di niente.
Al centralino non rispondono.
Incolmabile impazienza. Delitto della
fede. Acqua è vita. Ho sete.
Sprezzante vanescenza delle
ridondanze superflue.


Basta con queste poesie
non poesie. La
sfera primordiale del mio Io risiede
nella casa in
collina tra le tetre ombre delle
memorie sospese.

Qualcosa non funziona nell'aria gelida
del tempo
perso. Giaccio in un letto
d'insicurezze ereditate e
trasmesse come germi infetti.

Connessione interrotta. Porte chiuse
in faccia.
Hypocrite lecteur, mon semblable,
mon frère. Ne
t'inquiete pas. E' una storia lunga. E'
una storia
perversa.

Mi va d'inventare.
Scagliare pietre
contro le istituzioni destituenti. Non
mi va di stare su
una panchina stordita a leggere
esorcismi di mari in
tempesta e cantilene dilettantesche.
E li e qui. Per
sempre. Tabula rasa. Cogli la rosa
prima che
appassisca. Cogli la rosa e inghiottila
voracemente.
Andiamo via. Un'altra vita. E ancora e
ancora.
Ovunque. Sono. Esisto. O forse
morte.

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